Traversata finale 1/2. Il nulla cala intorno

20150809192814_IMG_9553_rCroazia 2015, Traversata di rientro a Marina di Ravenna.

Rabboccato l’olio motore e del piede, lasciamo Susak alle 18, prua dritta su Marina di Ravenna. Il cielo è limpido a parte qualche nuvola, che al tramonto incendia l’orizzonte. Il mare è calmo sotto al vento debole (5 nodi, ovviamente dritto da prua). Il tramonto, anticipato dalla sparizione del sole dietro le nuvole lontane, è infinito intorno a noi, ci godiamo in pozzetto e a prua il primo fresco della giornata, nella calma di una “sera” (ormai non esistono più le mezze giornate, signora mia) che scenderà piacevole e lentissima. Qualcuna scompare anzitempo in cuccetta, altri restano in coperta per capire se sparirà prima la terra dietro di noi o il sole davanti alla prua.

Quando fa buio per davvero le stelle sono pochine rispetto al solito e qualche lampo accende le nubi nere sull’orizzonte. Ti rendi conto che sono nuvole anche perché determinano un alto strato di totale oscurità davanti a noi, spegnendo le stelle. Nascondendo il cielo stellato, anche la bianca randa di Shasa sembra improvvisamente nera, ed è una sensazione stranissima, dopo tanti giorni di intenso riverbero randesco. Mi godo questa bella barca con la vela nera dei pirati, che scivola sicura in mezzo ad un mare che si estende tutto intorno, ormai a perdita d’occhio. La Via Lattea si accende quanto basta per farsi riconoscere, le stelle cadenti insistono a illuderci dei desideri già espressi o di quelli inesprimibili.

20150809200118_IMG_9606_rFuori restiamo Fabrizio e io. Il timone di Shasa è controllato dal Giapu (timone automatico), istruito dal nuovo miglior amico di fabrizio, Lawrance (il Gps). La notte in traversata passa così. Sorniona, oscura, lenta e rassicurante nella routine del navigante, tra un giro d’orizzonte per controllare il traffico delle navone, scambiando poche parole sui nuovi contatti avvistati o per condividere dubbi o potenziali pericoli. Con la voglia e la paura di addormentarsi, quello che uno dei due fa o pensa, è bene che lo sappia anche l’altro (due occhi is meglio che uan).

In pozzetto, ci concediamo un turno di sonno a testa. Prima dormo io, facendo fatica a chiudere occhio. Poi nell’ultima mezz’ora sprofondo nel più accogliente ristoro. Sono in ottima forma, quando Fabrizio mi sveglia con garbo. Dobbiamo prendere la prima mano di terzaroli e armare la seconda. Come ogni volta che siamo soli e lui si sporge sul boma sottovento, con la borosa in bocca e un piede scalzo appoggiato sulle draglie, mi assale il fulminante , grazie al quale realizzo che il mare si sta facendo leggermente mosso. Sempre, ovviamente, dritto dalla nostra prua.

È il turno di Fabrizio, che si accomoda in pozzetto per addormentarsi, come sempre a comando. Ancora una volta (che bello!) sono solo di guardia, e la notte infinita e buia attorno a me è accesa di piccoli barlumi lontani, non traducibili nemmeno col binocolo. Quella lucciola pigra lì è forse una piattaforma petrolifera? Sembra non lampeggiare, ma allora una nave lontana o una barca a vela vicina? O è un forse peschereccio immobile? E quell’altra lucina appannata, che sembra si stia avvicinando, è in potenziale collisione con la nostra rotta?

Non è facile fare rilevamenti definitivi e togliersi dubbi in maniera perentoria, perché la nostra rotta zigzagante cambia continuamente (rispetto all’anno scorso il Giapu sembra meno convinto e corregge spesso). Ah, ecco, sta aumentando anche un po’ l’aria e la nostra velocità (0.1 Kts al Gps) dice che adesso la randa porta meglio, grazie ad una misera manciata di gradi di vento da destra (niente di serio, ovvero non basterà mai per una vera bolina, ancorché stretta).

Ad un certo punto ho qualcosa come 7-8 contatti da tenere d’occhio, tra cui alcuni particolarmente difficili da decifrare. Forse sono io ad essere stanco e confuso da questo buio pesto o dalla solitudine. La randa è nera. La Via Lattea non c’è più. La Luna ancora non è sorta. Fa buio. Fuori e dentro. Mi sembra di essere precipitato nella cantina di Annibal Lecter, guardo in ogni direzione, ma vedo solo che ci sono questi puntini luminosi intorno…

La mia mente parte, prendendo la solita tangente da solitudine. Mi immedesimo nel mozzo di Titanic (F. DeGregori), ed emerge nella mia testa la mia voce che canta la strofa definitiva (“Signor mozzo io non vedo niente, è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole, andiamo avanti tranquillamente”). Cullato dal motore e dal mare, nella solitudine del posto dove sono, proprio qui dove tanto intensamente volevo essere, perdendomi in mille cosi inconsci, i miei pensieri sfumano da soli come sono nati, futili ma anche preziosi per quel loro saper riempire il prossimo mezzo minuto. Mi penso, qui al centro di Shasa, in un piano sequenza che mi colloca proprio al centro dell’Adriatico. Sono felice, contento. Ma sono anche inquieto. Non mi torna perché c’è, vedi cara, c’era qualcosa che non era facile capire e che però dovrei risolvere, ma non ricordo bene e se ci fosse qualcuno in coperta con cui parlare (un Filo, una Lia, un Gatto), e poi Fabrizio deve dormire ancora, e quel vuoto-più-buio lì non sarà forse un effetto come la nostra randa nera-ma-bianca, un coso enorme che copre le stelle? Mah, forse qui non ci sono ghiacci tropicali e noi non abbiamo un motore da un milione di cavalli che al posto degli zoccoli… Ah già, era che le luci delle navi attorno non mi sono chiare… Ma quanto tempo è passato dall’ultimo giro di orizzonte… Ma come, solo 1 minuto? E il mozzo di bordo, e Io…

Basta!

Mi desto da solo con un moto di spirito. Fulminato come Mia Wallace da un’intracardiaca di adrenalina spazzo via tutto. Mi riaffido alla routine, e il mio cervello cambia giri. In pochi secondi, efficiente come una macchina.

Automaticamente esclude i contatti che non possono costituire un pericolo e ne prende nota.

Me ne restano 3, faccio rilevamenti “a vista” considerando lo zigzagare di Shasa e mediando i risultati. Ripeto il tutto, e adesso posso scartare 2 rilevamenti: si stanno allontanando.

Ne resta uno solo, che certamente non ci verrà addosso, ma è strano e apparentemente molto grande. Non assomiglia a nessuna nave vista finora, è asimmetrico e talmente luminoso da non potervi distinguere luci rosse o verdi di fiancata. Se fosse una nave vista da poppa non sarebbe un coso così sconclusionato… Dovrebbe essersi avvicinato ma invece ci sta davanti miglia e miglia, da un tempo irragionevole. Ok, adesso non so cosa sia, ma mi basta sapere che non è una minaccia, almeno per un po’ di tempo.

È ora. Sveglio Fabrizio, che si desta come sempre sembrando un robot appena acceso, pienamente funzionante come se non avesse dormito un secondo. Ma è un bravo attore, a quanto pare: dopo confesserà che mentre aveva già aperto gli occhi stava ancora sognando che qualcuno lo svegliava. Lo ragguaglio: prima tutti i contatti principali, poi quelli secondari, poi il vento che è aumentato di un paio di nodi e girato di una manciata di gradi, infine il mare, che sembra crescere ancora, pian pianino. No, la Luna non è ancora sorta, ma possiamo aspettarcela tra qualche decina di minuti, da qualche parte là dietro.

Sono passati dei click di tempo (non sai mai se sono minuti, mezzore o ore), inizia ad albeggiare e finalmente sfiliamo al traverso del contatto incomprensibile: è una nave-piattaforma. Enorme, illuminata quasi a giorno e stranamente priva dei 3 piedi a traliccio estensibili, ma con una gru in diagonale enorme che le spunta da un fianco come un corpo estraneo. Il mistero è svanito, la ignoriamo con incazzata indifferenza. Vai a violentare il mare, vai.

Tra una mezz’ora sveglierò A. Vuole vedere l’alba. Poi tornerà a dormire e Fabrizio ed io ci godremo il gran finale. Ma questo, qui e adesso, ancora non lo sappiamo.

[segue…]

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