Godersi il vento che cala, la sera, alla fonda

Siamo alla fonda in rada. 8 m di fondale azzurrissimo, poca onda, le cicale a terra stanno spegnendo il loro gracidìo. Il sole è scomparso dietro un crinale, abbiamo già sparecchiato, lavato i piatti, arrotolato il geniale tendalino (progetto di Fabrizio) e ormai indossiamo tutti un indumento più pesante della nuda pelle.

È in questo momento dilatato, che si estende tra far della sera e sopraggiungere della notte, che il vento inizia a calare percettibilmente. Se anche non ha funestato la giornata sbandando la barca, comunque c’era e non potevi non accorgerti di lui. Perché ti rinfrescava nonostante il sole a picco, regalava quei pochi decimi di nodo a vela e motore, asciugava il bucato steso sulle draglie. Ma ora sta lentamente calando, e tra un po’ sarà notte e il vento sarà praticamente scomparso. E non puoi non pensare “Grazie, Vento!”.

Tra poco arriverà il sonno delle bimbe a comunicarci una nuova situazione, e salirà al trono H.M. Laphroaig XII, a scaldare le folle in pozzetto. Ma ancora siamo qui, non proprio raccolti, non necessariamente tutti insieme, anzi probabilmente dispersi ma in procinto di accogliere il cambiamento.

Spesso questo è il momento delle telefonate, quando puoi ancora raccogliere il filo dei fatti del giorno per trasmetterli, insieme a un adeguatissimo “Sto bene ed è tutto fantastico!” verso chi è rimasto a terra.

Questo momento non ha una durata finita, e ci sono giorni in cui non arriva, come altri in cui è arrivato molto prima o molto dopo. Ma è sempre un momento di bellezza indescrivibile, che vive il fascino delle terre di confine, contaminato sia dai residui del giorno che dagli assaggi della notte. Questo momento in cui la terra ha già perso colore e forme per farsi semplice ma orgoglioso profilo, contro il cielo ancora multicolore, nel quale si spengono le braci del tramonto e si accendono le prime stelle.

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